Artista

Ghiglione Mauro

Cognome
Ghiglione
Nome
Mauro
Professione
Artista
Luogo Nascita
Genova
Data Nascita
27 05 1959
Altezza
1,80
Capelli
Grigi
Occhi
Scuri
Segni Particolari
Nessuno
-

Intervista

1. Quali sono i fondamenti della tua ricerca (Art Identity) ?
Probabilmente l’ arte concettuale, l’attenzione al linguaggio, elementi del minimal, insieme a un approccio critico all’immagine con particolare riferimento all’immagine fotografica, sono tutte componenti fondanti che utilizzo nell’ambito della mia ricerca. Ma debbo aggiungere che non mi è così chiaro, si tratta di considerazioni che posso fare o condividere solo a posteriori, forse sarebbe una domanda da fare a terzi che hanno visto il mio lavoro e senz’altro più autorevoli del sottoscritto.
2. Quali sono gli artisti che ti hanno fatto da linea guida nella tua ricerca?
La risposta è un po’ scontata ma fuor di dubbio vera: da ragazzo senz’altro Marcel Duchamp. Successivamente sono stati anche altri che mi hanno fatto da guida, alcuni conosciuti personalmente come Franco Vaccari o Fabio Mauri, altri solo attraverso il loro lavoro, ma non mi avventuro in una lista poiché senz’altro ne dimenticherei qualcuno. É certo comunque che di artisti potenti ai quali non ho potuto non guardare ne ho avuti molti. Un nome tuttavia lo posso fare: non vorrei dimenticare Piero della Francesca …
3. Definisciti come essere umano utilizzando tre aggettivi.
Non sono così certo che un artista sia un essere umano comunque ci provo: Generoso, nascosto, distaccato
4. Secondo la tua visione dove sta andando e dove vorresti che andasse l’arte contemporanea?
Non vorrei sottrarmi eccessivamente ma non ho proprio alcuna volontà da esprimere rispetto alla direzione che prenderà l’arte contemporanea. Certo può incuriosire ma per altri versi non mi interessa nemmeno troppo. La mia esperienza dice che l’arte è sempre in un altro luogo rispetto al contesto che ne dibatte i valori. Credo andrà così …

DUE PAROLE SUI SUOI LAVORI

La ricerca artistica di Mauro Ghiglione prende avvio nel corso della seconda metà degli anni Ottanta e trova i suoi referenti nell’arte concettuale: dalla manipolazione della fotografia, all’installazione, all’utilizzo del video quale strumento percettivo.
I segni del suo linguaggio sono immagini, oggetti, frasi. Ogni elemento, nella sua essenzialità, trova la sua collocazione in uno spazio dove fotografia, parole ed elementi tridimensionali “rappresentano” e richiamano “altro”.
Le sue composizioni visive, il cui tratto distintivo è un estremo rigore formale, rimandano a strutture concettuali che investono anche la scelta dei materiali e degli object trouvé diventando veri e propri motori di concetti. Pur utilizzando l’immagine fotografica in contesti installativi, il lavoro di Mauro Ghiglione non può essere definito “fotografico”, il suo approccio alla fotografia passa infatti attraverso una critica del mezzo. Spesso l’artista ricava le immagini da foto originali e le manipola attraverso passaggi successivi sia di selezione sia di ingrandimento sino alla perdita del loro specifico fotografico, esemplari le sue stampe di immagini su lastre di sale eseguite con l’esplicita volontà di vederle sparire. Egli ricorre ad un supporto di cloruro di sodio, proprio perché destinato a corrodere nel tempo l’immagine riprodotta.
Testimonianza di questo lavoro si ha, tra le altre, nelle mostre “Utopie quotidiane” del 2002 curata da Vittorio Fagone e Angela Madesani –al PAC (Padiglione Arte Contemporanea) di Milano, nel 2008 “Alteratamente sani” curata da Viana Conti a Genova alla Galleria Unimediamodern, “Paso Doble” nel 2009 con Franco Vaccari, curata da Viana Conti, alla Galleria Michela Rizzo a Venezia.
Nella fase ultima della sua ricerca, Ghiglione apre spunti di riflessione sulla condizione di “iper – comunicazione” cui è sottoposto il nostro universo, e lo fa attraverso un approccio critico verso l’enorme quantità di dati e informazioni che produciamo quotidianamente. Nella sua indagine sulla persistenza dell’immagine, è giunto ad offrire allo spettatore la negazione dell’immagine stessa, dichiarandone l’inadeguatezza più totale, e ciò si traduce tanto nell’azzeramento dell’immagine ridotta a sola parola, quanto nella presentazione di un gesto, forse salvifico, rappresentato da immagini fotografiche “strappate” e custodite in solide casse di legno. Le sue produzioni sottolineano l’incapacità dell’uomo contemporaneo di pensarsi al di fuori dell’immagine che gli viene fornita dall’esterno e dai modelli di un immaginario ormai tanto affollato di copie da divenire stereotipico.
Importante testimonianza, di questa ricerca l’opera “1298 anni in Europa – (la camicia del filosofo)”, presentata in occasione della mostra “Complesse sparizioni” (2015 – Venezia, Galleria Michela Rizzo a cura di Viana Conti), con cui è ben rappresentata la perdita di identità del pensiero occidentale e il “Teorema inutile” opera presentata in occasione della sua mostra “Teoremi immaginari” (2019 - Genova, Museo di arte contemporanea di Villa Croce a cura di Antonio D’Avossa) installazione a parete dove il vuoto partecipa attivamente quale immaginario ambito.

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