Artista

Pinelli Pino

Cognome
Pinelli
Nome
Pino
Professione
Artista
Luogo Nascita
Catania
Data Nascita
01 10 1938
Altezza
1,78
Capelli
Bianchi
Occhi
Azzurri
Segni Particolari
Artista
-

Intervista

1. Quali sono i fondamenti della tua ricerca (Art Identity) ?
Punto, linea e prospettiva. L’arte non ha limiti, il limite dell’arte è l’arte stessa e non deve mai assomigliare a se stessa. Non si deve percepire da dove viene, qual’è il percorso intimo che ha compiuto ma solo la percezione intellettuale che vi sta dietro. Guai se l’arte ricorda un’altra opera! Se succede significa che l’occhio non ha aiutato e ci ha portato a fare quello che in arte non va mai fatto: imitare un altro artista. Quest’ultima è cosa che si lascia fare ai copisti.
2. Quali sono gli artisti che ti hanno fatto da linea guida nella tua ricerca?
La linea guida da ragazzo studente mi è stata data da Dino Caruso che era stato a sua volta allievo di Enrico Prampolini a Roma. Caruso, di origini siciliane, era andato a studiare a Roma e al suo ritorno in Sicilia divenne il mio professore di plastica. Con lui nacque un bellissimo legame affettivo e di stima. Ero il suo allievo prediletto e questo mi ha portato a capire sempre più me stesso. Ma fu mio padre il mio primo sostenitore, diceva sempre: “Mio figlio andrà dove deve andare”.
3. Definisciti come essere umano utilizzando tre aggettivi.
Non c’è risposta più vera di quella data da Papa Benedetto XVI che io rivisito in senso artistico: “Sono cosciente di essere un umile servo della vigna dell’arte”.
4. Secondo la tua visione dove sta andando e dove vorresti che andasse, l’arte contemporanea?
L’arte contemporanea sta andando un po’ alla deriva. La colpa, se pur involontaria del sistema dell’arte, è quella di aver allargato talmente tanto i confini da far sì che tutti coloro che si apprestano a ragionare d’arte, pensino di poter praticare questo lavoro. Essere artisti è una condizione che deve appartenere a una storia, a un passato ricco di sensi che portano l’individuo alla necessità stessa di essere creatore. Un bisogno profondo di arrivare allo spirito. Io credo che l’arte adesso abbia aperto troppo, anche per una questione naturale di numeri: gli allievi delle Accademie, quelli delle scuole d’arte e tutti i vari aspiranti artisti. Siamo pieni di gente che freme per fare questo lavoro terribilmente difficile e a tratti anche frustrante. Non è un lavoro per tutti. Non si scopre quasi mai se è davvero fatto per noi o no, lo si scopre forse un giorno tramite il riconoscimento della storia dell’arte e a quel punto si è pronti per il “grande volo”! Una delle cose peggiori di questo mondo è quando un artista viene riconosciuto un grande dopo 30-40-50 anni dalla sua morte o quando per arrivare alla fama decide di assoggettarsi alle leggi imposte dal mercato o dalla critica, privandosi del suo stesso linguaggio per puro interesse. Spero che ritorni un tipo di “coscienza” dove Marcel Duchamp viene riconosciuto. Mi spiego… egli si è macchiato in un certo senso di questo peccato involontario di definire “opera” un semplice orinatoio! Il suo passo è stato fondamentale ma purtroppo molta gente si è sentita in dovere di appropriarsi e rifare la sua stessa operazione artistica 100 anni dopo. Il peggio è che parte del pubblico non si accorge di queste prese in giro o ancor peggio, abbia interessi sul sostenerle.

DUE PAROLE SUI SUOI LAVORI

Pino Pinelli nasce a Catania nel 1938, dove compie gli studi artistici. Nel 1963 si trasferisce a Milano, dove tuttora vive e lavora, affascinato e attratto dal dibattito artistico di quegli anni, animato da figure quali Lucio Fontana, Piero Manzoni, Enrico Castellani. Nel 1968 tiene la sua prima mostra personale alla Galleria Bergamini. Nei primi anni settanta Pinelli avvia una fase di riflessione e di ricerca, in cui tenta di mettere a fuoco l’imprescindibile nesso fra tradizione e innovazione, con particolare attenzione alla superficie pittorica, alle vibrazioni della pittura. Nascono così i cicli delle “Topologie” e quelli dei “Monocromi”, la cui superficie comincia a essere mossa da una sottile inquietudine, quasi che l’artista volesse restituire il respiro stesso della pittura. Queste esperienze lo inseriscono nella tendenza che Filiberto Menna definì “Pittura analitica”, anche se dal 1976 Pinelli riduce drasticamente la dimensione delle sue opere, che si vanno collocando nello spazio, accostate l’una all’altra, come se una deflagrazione avesse investito le sue grandi tele e avesse generato una disseminazione dei loro frammenti.

Rompere il concetto di quadro in frammenti è l’atto “disperato” del pittore europeo che avverte il peso della storia, si sente schiacciato da questa enormità imprescindibile che è la coscienza di ciò che è stato prima: l’unico atto possibile è dunque quello di “pensare” la pittura più che di “farla”.

Nell’opera, il “rettangolo tagliato”, la parete diventa protagonista in quanto perde la sua condizione di neutralità creando un tutt’uno con il lavoro, mentre nei lavori costituiti da più elementi pittorici questi si moltiplicano e migrano seguendo un percorso prestabilito, leggermente ad arco, quasi a voler mimare il gesto del seminatore, dando così luogo alla disseminazione.

Al di là delle etichette di “Pittura analitica”, le opere di Pinelli sono corpi inquieti di pittura in cammino nello spazio, fluttuanti e migranti in piccole o grandi formazioni, fatte di materiali che recano impressi i segni di un’ansiosa duttilità, e che esaltano la fisicità tattile e la felicità visiva di un colore pulsante di vibrazioni luminose.

 

Tra le numerosissime mostre personali e collettive, ricordiamo soltanto: la Biennale di Venezia (1986/1997), la Quadriennale di Roma (1986/2006) e la Triennale d’Arte Lalit Kala Akademi di Nuova Delhi (1986).

Nel 2016 la sua città natale, Catania, gli dedica un’importante mostra antologica dove tiene anche una lectio magistralis e lo premia con la Laurea honoris causa per l’unicità, originalità e coerenza della sua opera in Italia e all’estero. Sempre nel 2016 ha tenuto una personale al Multimedia Art Museum di Mosca e il regista italiano Mimmo Calopresti ha realizzato un docufilm, La luce di Pino Pinelli, che viene presentato al Taormina Film Festival nel 2017.

A Milano, nel 2018, ha tenuto una grande mostra monografica nelle sale di Palazzo Reale e alle Gallerie d’Italia. È stato insignito del titolo di Accademico dell’Accademia di Belle Arti di Perugia.

A Basilea nel 2021 ha partecipato ad Art Unlimited, con una monumentale disseminazione di 100 elementi, appositamente realizzati per l’esposizione.

Infine, a Tokyo è stato invitato nel maggio del 2022 a rappresentare l’arte contemporanea italiana all’interno dell’evento “Italia Amore Mio”, coordinato e realizzato dalla Camera di Commercio Italiana a Tokyo.

 

Le sue opere sono in numerose collezioni museali permanenti, tra cui il Museo del Novecento di Milano, il Mart di Trento e Rovereto, il Centre Pompidou di Parigi, il Museum Art.Plus di Donaueschingen, il Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma, la Collezione di San Patrignano di Rimini, la Fondazione Pablo Atchugarry in Uruguay, la Margulies Foundation di Miami, la Fondazione Zappettini di Chiavari, le Gallerie d’Italia di Milano, il MAGA di Gallarate, il MACA Morterone di Morterone, i Musei Civici di Lecco, il Museion di Bolzano, l’Università Bocconi, l’Università degli Studi Bicocca di Milano, la Collection CMR di Monaco.

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